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Economia circolare e materie prime critiche: Sfide e Opportunità

Il periodo storico che stiamo vivendo, a livello europeo e mondiale, potrebbe essere definito critico a causa di un serie di eventi che si vanno manifestando da qualche anno, dalla crisi pandemica al conflitto in Ucraina a quello israeliano, ai cambiamenti climatici sempre più evidenti, alla necessità di modificare il mercato per rendersi indipendenti da crisi mondiali, ecc… Tutti questi eventi dimostrano, come era ovvio, che nulla resta immutato ma che tutto cambia, si evolve.

In quale direzione si vada però, spetterà ai posteri giudicarlo quando, analizzando i dati di partenza e quelli finali, potranno trarre qualche conclusione in relazione allo stato di entropia che avremo raggiunto.

Ma il punto è che noi viviamo questo momento storico e coscienti delle nostre responsabilità in qualità di grande comunità globale, da anni siamo impegnati (virtualmente o realmente a seconda dei casi) a tutelare l’ambiente che ci circonda al fine di lasciare alle generazioni future un “mondo migliore”.

“La Terra non è un eredità ricevuta dai nostri Padri ma un presti da restituire ai nostri figli” – Capo nativo americano See-ahth

Parole bellissime vero?

Per farlo abbiamo deciso che era il momento di dichiarare avviato il “Green New Deal” (con un pacchetto di iniziative strategiche che mira ad avviare l’UE sulla strada della transizione verde, con l’obiettivo della neutralità climatica entro il 2050”) , la “circular economy”, la “green economy”, come se le immagini che queste parole sono in grado di rievocare nella nostra mente siano sufficienti ad avviare un momento storico paradisiaco per tutti.

La realtà è ovviamente ben diversa, la realtà richiede ad ognuno di noi (cittadini, imprenditori, governi, legislatori) un grande sforzo ed impegno, in tutti i settori nei quali operiamo affinché tali immagini evocative possano in qualche modo realizzarsi per le future generazioni.

Il lettore si chiederà il perché di questa premessa. Il tema di questo articolo sono le materie prime critiche di cui si parla da qualche giorno, tema in qualche modo legato a tutti gli altri temi ambientali che in questi ultimi anni fanno gran parlare di sé come il RENTRI, il nuovo regolamento sulle spedizioni transfrontaliere di rifiuti, la probabilità che dal 1° gennaio i RAEE spediti all’estero possano essere assoggettati sempre a notifica, il nuovo regolamento batterie ecc….

Quanti temi… tutti attuali, tutti importanti e con una portata enorme a livello di impatto procedurale, economico, imprenditoriale, sociale e normativo.

Ma oggi prendiamo in considerazione il tema delle materie prime critiche. Queste, è ormai dimostrato, che possano e devono essere recuperate partendo dal riciclo e recupero dei nostri rifiuti e in particolare di quelli che contengono elementi preziosi e importanti come i RAEE. Tutti i nostri dispositivi elettrici ed elettronici sono un miracolo di tecnologia e ingegneria che richiedono l’utilizzo di metalli particolari, come le famose Terre Rare, per poter realizzare la miniaturizzazione dei componenti aumentando esponenzialmente la capacità di calcolo. Provate anche solo a ricordare cosa erano in grado di fare i nostri computer e telefoni cellulari 8 – 10 anni fa, rispetto a cosa sono in grado di fare oggi. Il salto tecnologico è innegabile e quel progresso continua, ma per essere accessibile a tutti è necessario che le materie prime indispensabili per la realizzazione di un nuovo dispositivo siano disponibili ad un prezzo accessibile altrimenti il rischio è che il prodotto finale non sarà disponibile su vasta scala ma solo a chi avrà le risorse economiche per poter accedere a quel determinato bene.

Negli ultimi dieci anni è stata data una grande spinta alla raccolta dei RAEE, alla comunicazione e sensibilizzazione sull’importanza del loro recupero e riciclo. Quanti, negli anni, hanno immaginato che nei RAEE ci fossero miniere d’oro così vaste da renderli ricchi? E queste miniere “urbane” ci sono davvero, ma possono essere redditizie per un imprenditore solo se i tassi di raccolta incrementano e solo se ci sono i volumi per poter alimentare un impianto di trattamento su larga scala e renderlo remunerativo dal punto di vista imprenditoriale.

Troppo spesso occorre ricordare che un soggetto autorizzato che svolge attività di recupero rifiuti è una impresa e come tale, per definizione, deve fare profitto e pagare stipendi ai propri dipendenti, fornitori, fare manutenzione, saldare le fatture per energia elettrica ecc…

Ma andiamo per ordine, questa mattina ho letto alcuni articoli sul tema delle materie prime critiche, e ringrazio sempre Riciclanews per essere sempre “sul pezzo” e darci continui spunti di riflessione. E dal loro articolo ho espanso un attimo la ricerca continuando a riflettere.

Parliamo di necessità di recuperare correttamente i nostri rifiuti, parliamo di “preparazione al riutilizzo”, salvo poi scoprire che la procedura non sia poi “così semplificata” come viene indicato nel decreto., parliamo della necessità di tutelare il nostro ambiente in quanto l’estrazione di materie prime dal sottosuolo crea non pochi problemi, ma poi leggiamo che è stato dato il via libera definitivo alla legge di conversione del decreto sulle materie prime critiche ( che dovrebbe rispondere agli obiettivi europei del Critica Raw Materials Act che richiede, entro il 2023, di rilanciare le estrazioni in miniera, riciclo e raffinazione per mettere in sicurezza le catene di fornitura di risorse come litio, rame, cobalto e terre rare) e che l’impulso di questo decreto è dato alla estrazione di materia prima e non al potenziamento del circuito del riciclaggio. E ci si chiede perché?

Perché non abbiamo impianti a sufficienza per riciclare rifiuti? Perché è più semplice spedire i nostri rifiuti all’estero in impianti tecnologici ed evitare di implementarli sul suolo italiano? Perché l’imprenditore medio conoscendo i tempi autorizzativi non ha più questa gran voglia di fare un investimento e attendere tempi biblici per veder partire il proprio impianto di recupero? O forse perché il nostro territorio è così ricco di materie prime critiche che conviene estrarle per renderci completamente indipendenti da tutto e da tutti attuando una economia curtense medievale?

E nel mentre che la versione finale del decreto prendeva forma apprendiamo che l’Italia è stata sottoposta a procedura di infrazione per:

  • Errato recepimento della direttiva rifiuti
  • Mancato raggiungimento degli obiettivi vincolanti di raccolta e riciclo dei rifiuti urbani e dei RAEE

Mentre leggevo i vari articoli mi sono poi imbattuto in un articolo dedicato alla mappa completa dei giacimenti italiani, pubblicata su open.online che vi invito a leggere.

La banca dati aggiornata dell’Ispra parla di 76 miniere attive sul territorio nazionale. E l’articolo continua indicando che su un totale di 34 materie prime critiche solo 2 sono estratte in Italia.

Su 76 miniere attive in Italia solo 22 estraggono almeno una delle materie prime classificate come “critiche” dall’UE. Si tratta di Feldspato e Fluorite.

il feldspato, un minerale essenziale per l’industria della ceramica per cui sono attive venti miniere; e la fluorite, che va a finire all’industria dell’acciaio, dell’alluminio, del vetro, dell’elettronica e della refrigerazione. Per quanto riguarda la fluorite, in passato l’Italia poteva contare su 91 miniere attive sul territorio nazionale. Oggi ne sono rimaste soltanto due, ma ci sono alcune aree dismesse – in particolare nel bergamasco, nel bresciano e in Trentino – che Ispra classifica come «da rivalutare». Soprattutto alla luce anche dei prezzi attuali, quadruplicati rispetto al 1990.  (fonte: https://www.open.online/2024/07/24/materie-prime-critiche-mappa-giacimenti-italia/ )

Sicuramente queste due materie prime critiche sono importanti, visti i loro utilizzi, ma non spiegano la direzione presa dalla norma. Perché non dare un impulso più forte al settore del riciclaggio? Perché non supportare questo settore con misure che permettano a imprenditori volenterosi di dare il proprio contributo, facendo impresa, al settore ecologico andando così anche a contrastare il triste fenomeno dell’abbandono dei rifiuti e la gestione illecita di rifiuti?

Più impianti autorizzati ci sono sul territorio e più disponibilità di destini avremo sul mercato, ciò determinerebbe costi/ricavi di conferimento concorrenziali che renderebbero il settore inappetibile per chi vuole gestire illecitamente i rifiuti.

L’articolo di open.online continua indicando che, probabilmente, nel sottosuolo italiano ci siano altre materie prime critiche che debbano essere individuate ed estratte. E’ il caso del litio nei fluidi geotermici tra la Toscana e il Lazio, il rame nell’Appennino ligure-emiliano, nel Trentino e in Sardegna, il tungsteno in Calabria e Sardegna, il cobalto in Sardegna e Piemonte.

Miniere si o miniere no?

La risposta alla domanda è probabilmente, come sempre, nel mezzo. Non possiamo e non dobbiamo demonizzare tutto e dobbiamo renderci conto che le miniere di materie prime vergini sono importanti, in particolare in un momento storico di grande incertezza durante il quale a livello europeo dobbiamo garantire un approvvigionamento di materie prime per spingere il comparto industriale. Ma, ad eccezione delle miniere già attive, per l’avvio di nuove miniere e l’individuazione di nuovi giacimenti dobbiamo considerare i tempi, che non sono mai brevissimi. Nel frattempo non avremmo potuto spingere l’industria del riciclaggio verso un potenziamento considerando i volumi potenziali disponibili (che non dobbiamo scavare per ottenere) e la tecnologia già disponibile sul mercato globale per recuperare quante più materie possibili?

E visto che siamo in tema di rifiuti, c’è un passaggio interessante nell’articolo di open.line sui rifiuti che derivano dall’attività estrattiva (si perché anche le miniere producono rifiuti, come tutte le attività). Ci sono circa 150 milioni di metri cubi di rifiuti estrattivi delle miniere dismesse che aspettano di essere gestiti (andrebbero fatti due conti sul tema del deposito temporaneo qui….). Su questo l’ISPRA consiglia di optare per una strategia che punti non solo a riaprire le miniere ma anche a recuperare i rifiuti e sfruttare la filiera italiana del riciclo. Secondo le stime del Governo Italiano, nel 2040 il riciclo potrebbe arrivare a soddisfare quasi un terzo del fabbisogno italiano di materie prime critiche. E’ interessante questa ultima affermazione. Come si può in meno di 20 anni raggiungere questo livello se non potenziamo il settore del riciclaggio e del recupero?

E’ vero, nella nuova norma è stato introdotto un taglio dei tempi autorizzativi portandoli ad un massimo di 10 mesi ma sappiamo bene che tra richieste di integrazioni, modifiche, conferenze dei servizi ecc… i tempi saranno più lunghi e questi tempi tenderanno a dilatarsi ulteriormente nel momento in cui saranno presentati progetti per impianti di recupero tecnologicamente più avanzati (pirometallurgia, idrometallurgia, trattamenti chimici). Non possiamo certo pensare di richiedere autorizzazioni solo per impianti di messa in riserva (R13) per spingere in avanti la “green economy”. E’ necessario avere a disposizione una rete capillare di impianti tecnologicamente avanzati che siano in grado di recupero quanto più possibile dai nostri rifiuti.

Ciò di cui abbiamo bisogno sono misure che permettano all’imprenditoria italiana di poter investire su nuove tecnologie come pirometallurgia e idrometallurgia su piccola e grande scala. Il settore della gestione dei rifiuti sta cambiando e deve cambiare ed ha bisogno di tutto il supporto necessario per attrarre nuovi “cervelli” nuove competenze, nuove abilità.

Ma non solo, se allarghiamo il nostro campo visivo ci rendiamo conto che l’intervento richiesto deve essere su tutta la filiera, dal Produttore di rifiuti, urbani e speciali fino agli impianti di trattamento.  Un impianto di recupero per essere in grado di autosostenersi ha necessità di flussi costanti di rifiuti e questi devono giungere dai Produttori di rifiuti che devono essere informati, formati e resi responsabili della necessità di provvedere ad una corretta gestione dei rifiuti che sono prodotti dalle loro attività. E’ questa la vera chiusura del “cerchio” della gestione dei rifiuti.

Ed unendo l’estrazione di materia prima vergine al recupero di materia prima “seconda” recuperata dai rifiuti saremo in grado di poter garantire l’indipendenza della nostra comunità, in senso lato ed europeo, ed il prosperare dell’industria ed il completamento del passaggio della transizione ecologica.

Ricordiamoci che il raggiungimento degli obiettivi di transizione ecologica, di avvio della green economy, di neutralità climatica, richiede, inevitabilmente l’impegno di tutti, dai cittadini, agli imprenditori, ai governi.

Ricordando le parole che ho udito poco più di un mese fa dal Past Governor Distretto 2120 del Rotary Club Vincenzo Sassanelli:  “non pensate in piccolo ma pensate in grande, con l’aiuto di una grande comunità si possono realizzare grandissimi progetti” sono convinto che, applicando questo pensiero, alla nostra grande comunità si possano raggiungere grandi risultati e si possa attuare il vero cambiamento. E’ necessario che dall’alto verso il basso della collettività si collabori sinergicamente con un obiettivo comune.

Il decreto è criticabile? Si. Mancano alcuni elementi che gli operatori del settore attendevano ed avevano richiesto. Può essere corretto il tiro? Sicuramente può essere fatto e auspichiamo che nuove misure per questo settore che rappresenta davvero una “miniera urbana” di materie critiche, vengano varate al più presto.

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